IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Ha pronunciato la seguente ordinanza nel corso del processo contro
 Faletto Piero, nato a Torino il 16 aprile 1946, residente ivi via  S.
 Quintino  n.  5,  domiciliato  in  Torino,  corso  Re  Umberto,  565,
 fiduciariamente difeso dall'avv. Cesare Zaccone, siccome imputato dei
 reati di cui agli artt. 1, quarto comma, e 4, n. 7, del d-l 10 luglio
 1982, n. 429 (come convertito in legge 7 agosto  1982,  n.  516)  per
 avere  dissimulato  componenti  positive  del  reddito (anno 1983: L.
 1.032.568.834;  anno  1984:   L.   1.622.513.487;   anno   1985:   L.
 1.219.191.060;  anno  1986:  L.  1.855.015.354) e per avere omesso di
 annotare nelle scritture obbligatorie, sia ai fini di imposta diretta
 sia  anche  ai  fini  IVA,  operazioni connesse a dette componenti di
 reddito; fatti commessi in Torino;
    Premesso  che Faletto Piero e' imputato di violazione dell'art. 4,
 primo comma, n. 7, del d.-l. 10 luglio 1982, n. 429 (come  convertito
 in  legge  7  agosto  1982,  n. 516) per avere dissimulato componenti
 positivi di redditi ed omesso di annotare  corrispettivi  negli  anni
 1983, 1984, 1985, 1986 e che la condotta ascrittagli si sostanzia nel
 mero comportamento omissivo (accusa derivata dal raffronto della  sua
 contabilita'   con  le  risultanze  dei  versamenti  su  c/c  di  sua
 pertinenza  e  che,   secondo   la   p.g.,   costituirebbero   ricavi
 assoggettati ad imposizione);
      -  che  il p.m. ha richiesto il 23 maggio 1990 rinvio a giudizio
 del Faletto e  che  all'odierna  udienza  preliminare  la  difesa  ha
 chiesto   sentenza   di   non   luogo   a  procedersi  nei  confronti
 dell'imputato ed, in subordine, in accordo con il  p.m.,  che  questo
 giudice  eccepisca l'illegittimita' costituzionale dell'art. 4, primo
 comma, n. 7, del d.-l. 10 luglio 1982, n.  429  (come  convertito  in
 legge  7  agosto  1982,  n.  516)  per violazione degli artt. 3 e 25,
 secondo comma, della Costituzione;
    Rilevato   che   la   difesa   del   Faletto  ha  instato  per  il
 proscioglimento  invocando  i  criteri  ermeneutici   imposti   dalla
 decisione   di  codesta  ecc.ma  Corte  nella  sentenza  n.  247/1989
 (richiamati dalla ordinanza n. 279/1990 della Corte  costituzionale),
 secondo   cui  l'integrazione  della  condotta  delittuosa  non  puo'
 fondarsi sul solo comportamento omissivo poiche': "non e' sufficiente
 una  condotta  consistente  nel  solo  omettere  la  dichiarazione di
 componenti positive del reddito e (o)  la  sola  dichiarazione  della
 sussistenza  di  componenti  negative  dello stesso reddito bensi' e'
 indispensabile che la condotta si esprima in forme 'corrispondenti' a
 quelle necessarie per integrare le diverse ipotesi di frode fiscale",
 unica interpretazione che sia in  grado  di  evitare  la  censura  di
 indeterminatezza  prescrittiva  in  violazione  dell'art. 25, secondo
 comma della  Costituzione  nonche'  la  disparita'  irragionevole  di
 trattamento,   con   compressione   dell'art.  3  della  Costituzione
 "consistente  nel  sanzionare  lo  stesso  comportamento,  l'infedele
 dichiarazione,  come semplice contravvenzione oblazionabile quando ha
 ad oggetto redditi non soggetti  ad  annotazione  contabile  o  grave
 delitto  quando  concerne  redditi  di  lavoro  autonomo o d'impresa,
 derivanti da cessione di beni o prestazioni di servizi";
      -  che questo giudice non ritiene di aderire alla prospettazione
 difensiva  (pur  compatibile  con  le   risultanze   delle   indagini
 preliminari)   poiche'  la  recentissima  decisione  della  Corte  di
 cassazione, sezione unite (sentenza  6  luglio-23  ottobre  1990,  De
 Candia ed altro) ha fornito interpretazione fortemente divergente dai
 criteri di lettura indicati da codesta ecc.ma Corte costituzionale;
      -  che,  segnatamente,  la  Corte  di cassazione, abbandonata la
 descrizione sistematica della figura normativa nel  quadro  di  reato
 obiettivamente condizionato dalla alterazione rilevante del risultato
 redditivo,  ha  ritenuto  sufficiente  ad   integrare   la   condotta
 riprovevole il mero silenzio, o meglio il solo comportamento omissivo
 nella redazione delle scritture di supporto alla dichiarazione stessa
 (la  cui  alterazione  e'  indicata  come  evento  del  reato), quale
 strumento di  falsificazione  ideologica  atta  a  trarre  in  errore
 l'Amministrazione Finanziaria;
      -  che,  ancora, la Corte di cassazione ha respinto ogni profilo
 di  possibile  illegittimita'  costituzionale   ex   art.   3   della
 Costituzione  nella  propria  interpretazione  dell'art. 4, n. 7, del
 d.-l. cit., segnalando  le  zone  di  non  sovrappinibilita'  tra  la
 fattispecie  dell'art.  4,  n. 7, della legge n. 516/1982 e l'art. 1,
 comma secondo, della legge citata, trascurando, peraltro, che secondo
 la  indicazione  di  codesta  Corte  -  la  possibile  identita'  del
 comportamento censurato in  guisa  fortemente  diversa  per  il  solo
 variare  della  tipologia del soggetto di imposta (o della natura dei
 tributi  oggetto  della  dichiarazione  reddituale),  risulta  scelta
 irragionevole e levisa del precetto costituzionale;
      -  che  tale  prospettiva  ermeneutica  conduce  ad un risultato
 applicativo al caso concreto opposto a  quello  indicato  da  codesta
 ecc.ma   Corte,   sicche'   la   questione   si  appalesa  rilevante,
 coinvolgendo immediatamente  la  sostanza  del  giudizio  sull'accusa
 mossa al Faletto;
      -  che se, da un lato, la valutazione della Corte di cassazione,
 sezioni unite consente di salvaguardare  autonomia  alla  fattispecie
 dell'art.  4,  n.  7,  del  d.-l.  citato rispetto alle altre ipotesi
 descritte dai numeri  precedenti  nello  stesso  comma  dell'articolo
 menzionato  e  se,  d'altro canto, l'autorevolezza dell'organo da cui
 promana   l'interpretazione    sono    elementi    significativamente
 condizionati  il  giudice  di  merito  nel  senso di un adeguamento a
 siffatta lettura normativa, e', al contempo, certo che le indicazioni
 fornite  da  codesta  Corte  sono  state  assunte nell'ottica tesa ad
 evitare lesione agli  interessi  costituzionali  (ed  anzi,  come  si
 arguisce  dall'ordinanza  n.  279/1990,  l'unica  visuale in grado di
 rispettarli),  sicche'  esse  risultano  altrettanto  vincolanti  per
 questo giudice;
      -  che,  quindi,  considerato l'alternarsi delle interpretazioni
 sull'art. 4, primo comma, n. 7, del d.-l.  10  luglio  1982,  n.  429
 (come   convertito  in  legge  7  agosto  1982,  n.  516)  e  la  sua
 compatibilita' con opposte soluzioni (provenienti dai supremi  organi
 istituzionali  regolatori  del  diritto),  foriere anche di eventuali
 lesioni degli interessi garantiti dagli artt. 3 e 25, secondo  comma,
 della   Costituzione,  la  fattispecie  penale  in  esame  si  palesa
 costituzionalmente illegittima in  quanto  inidonea  a  salvaguardare
 l'aderenza  al  dettato  costituzionale  per cui si invoca da codesta
 ecc.ma Corte un giudizio definitivamente chiarificatore;
      -  che  viene disposta separazione degli atti da quelli relativi
 all'art. 1, quarto comma, del d.-l. citato, secondo la richiesta  del
 p.m.,   perche'   (pur   esclusi   gli   inconvenienti  di  possibile
 prescrizione per la sospensione del corso  interruttivo  ex  art.  23
 della  legge  n. 87/1953) non sembra che il disposto dell'art. 18 del
 c.p.p. consenta discrezionalita'  al  giudice,  allorquando  non  sia
 assolutamente  indispensabile  (ed  il  caso  di specie non evoca una
 situazione di questo tipo);